Alle origini di Azione Comunista

Questo manoscritto, che risale al 1978, ritrovato fra le carte di Luciano Raimondi, fa chiarezza sulla nascita del primo movimento a sinistra del Partito comunista italiano, nel 1955, con la nascita della rivista omonima, «Azione Comunista ». Pochi anni dopo, nei primi anni 60, germoglieranno in Italia molti altri gruppi di estrema sinistra, che nel 1966 confluiranno in una Federazione dei gruppi marxisti-leninisti italiani, con la rivista « Rivoluzione proletaria ». L’esperienza sarà molto breve. Nel frattempo, Raimondi si era trasferito all’estero, dove per molti anni svolgerà un’attività di organizzatore culturale.

 

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Da circa un mese il settimanale Espresso ed il Corriere della Sera riportano la notizia che un comitato, di cui fa parte il senatore comunista Ambrogio Donini ed il pubblicista e storico Leo Valiani, sta curando, con l’editore Feltrinelli, la pubblicazione postuma di note e memorie di Pietro Secchia, già vice-segretario del Pci, ai tempi in cui era segretario Palmiro Togliatti.

E’ noto che Pietro Secchia non condivideva la linea politica di Togliatti, perché ispirata totalmente alla illusione di una via parlamentare al socialismo, che non rifiutava neppure le alleanze più improbabili (come il milazzismo in Sicilia che prevedeva una collaborazione dei comunisti con il movimento neofascista). Diversi erano anche nei due (Secchia e Togliatti) i principi organizzatori del partito. Secchia pensava che il partito dovesse affrontare battaglie democratiche su un fronte, ma tenendo ben presente che la società capitalista è sempre pronta a scatenare reazioni violente repressive quando i grandi movimenti popolari e dei loro alleati si avvicinano ad una maggioranza che giustifichi il passaggio del potere nelle loro mani, in modo pacifico.

Per questa ragione, storicamente fondata, Secchia sosteneva che, su un altro fronte, il partito dovesse avere robuste strutture di lotta, con doppi quadri preparati a non farsi schiacciare dalle forze reazionarie nei momenti per loro più difficili. L’organizzazione di lotta sostenuta da Secchia doveva costituire la garanzia di sopravvivenza del partito nei momenti decisivi dello scatenamento improvviso di forze reazionarie già al potere. Il partito in sostanza – secondo Secchia – doveva avere due fronti: quello largo democratico e quello ristretto di vigilanza rivoluzionaria; avrebbe dovuto avere doppi quadri, nel senso che alcuni svolgessero opera di propaganda generalmente democratica ed altri che vigilassero costantemente per impedire, in qualsiasi momento, la messa al bando del partito, la sua frantumazione e dispersione. I quadri che garantissero forza e capacità di lotta (secondo Secchia) erano soprattutto da ricercare nella classe operaia.

Fallito il tentativo della sostituzione di Togliatti e dei suoi principi fondamentalmente riformistici ed opportunistici, dall’ambiente piu vicino a Secchia si generò un tentativo di rottura dall’interno del partito della linea togliattiana. Non è ancora stato chiarito se per disposizione di Secchia o per decisione autonoma, il suo segretario particolare Giulio Seniga si appropriò di una somma ingente di dollari, custoditi sotto responsabilità di Secchia, inviati dall Unione Sovietica al Pci (che lo stesso Seniga avrebbe introdotti in Italia, pare, dalla Svizzera). Seniga improvvisamente lasciò i suoi compiti di funzionario del partito ufficiale e cercò un punto di riferimento per un’azione critica nell’interno del partito fra compagni scontenti della linea togliattiana e nello stesso tempo insospettabili per le loro caratteristiche di onestà personale e di militanza rivoluzionaria. Nel 1955 cercò me (che ero stato partigiano insieme a lui nell’Ossola) ed un vecchio militante del partito, Bruno Fortichiari, trovando in noi l’appoggio per un’azione di riaffermazione di una linea leninista nel partito.

 

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Dopo una serie di “Lettere ai compagni” distribuita all’interno del partito a partire dalla IV Conferenza tenutasi a Roma nel 1955, si passò a un periodico intitolato “Azione comunista”. Le “Lettere ai compagni” e i primi numeri di “Azione comunista” vennero finanziati con una piccola parte dei dollari sottratti da Seniga.

Seniga sembrava un rivoluzionario intenzionato a ripulire il partito dagli opportunisti e riformisti. Seniga prometteva anche di farci conoscere “documenti” importanti per dimostrare il tradimento dei principi comunisti da parte dei togliattiani. Tanto io che Fortichiari insistemmo piu volte per avere tali documenti ma senza risultati rilevanti. Rifiutammo di ritenere documento politico importante um pettegolezzo…* I documenti di Seniga erano solo i dollari sottratti.

Resici conto della situazione chiedemmo allora che Seniga accettasse un’amministrazione controllata collettivamente dei fondi da lui posseduti. Sentita tale aria Seniga s’attaccò a deboli pretesti politici, per battere altre strade che non lo incastrassero con la resa dei conti dei fondi che possedeva.

Seniga aveva l’assoluta certezza di non poter essere perseguito dal partito che non avrebbe mai potuto accusarlo di avere valuta pregiata, pervenuta in Italia da parte sovietica. Il fatto che non volesse nessun controllo neppure da parte di compagni da lui ritenuti onestissimi e di vecchia militanza di tipo rigorosissimo, lascia il sospetto che abbia voluto una copertura politica per un volgare furto, eseguito in maniera tale da non poter essere denunciato. La somma (era evidente dai viaggi che Seniga allora faceva con frequenza) era depositata in Svizzera. Ogni tanto Seniga si recava in Svizzera per prelevare il suo normale stipendio di funzionario e le somme occorrenti nei primissimi tempi per iniziative di propaganda politica antirevisionista.

Seniga offriva aiuto finanziario anche a vecchi militanti che il partito aveva dimenticato ed abbandonati nella miseria, secondo la teoria che il partito non è un ente di beneficenza.

Per non avere accettato un’amministrazione controllata dei fondi di cui era in possesso Seniga venne espulso dal movimento di Azione comunista. Da allora entrò nell’area politica della socialdemocrazia. Ci risulta iscritto oggi al PSI, con iniziative stranissime come quella dell’azione di difesa dello Stato di Israele e della sua politica.
In occasione della pubblicità anticipata per la pubblicazione delle memorie di Secchia è rispuntato lo studio sui motivi della polemica Secchia – Togliatti ed insieme l’episodio del furto di cassa del partito eseguito da Seniga.

Secchia pare che nelle sue memorie che saranno pubblicate sostenga che l’episodio del furto di Seniga fu organizzato da chi voleva togliergli autorità e valore nel partito: dai togliattiani a gente della loro risma. Lo stesso Secchia pare che pensasse che l’infezione insortagli dopo un viaggio in America Latina e che causò il suo decesso fosse dovuta ad avvelenamento da parte dei togliattiani.

E’ certo che l’episodio Seniga fu un pretesto per i togliattiani per demolire il prestigio e l’autorità di Secchia nell’interno del partito. E’ da escludere l’avvelenamento.

In questo ultimo periodo l’ “Espresso” cerca particolari sulla storia dell’antitesi Togliatti – Secchia. Tutti sanno del furto di Seniga ma nessuno ne parla con chiarezza. Nessuno lo accusa specificamente. Perche proprio oggi si tira fuori la questione? Maurizio Riva dell’ Espresso mi telefona da Roma a Helsinki e perfino da Roma a Messico (dove mi sono recato recentemente) per avere dettagli sul caso, in parte da me direttamente vissuto.

Se fosse una rivista reazionaria si potrebbe pensare al tentativo di sfatare l’indipendenza del Pci (dati i dollari che Seniga portava dall’Unione Sovietica) e far fallire il compromesso storico in atto. Ma la storia dei dollari è un passato abbastanza remoto e non può essere sfruttata contro il Pci di oggi. Data la tendenza politica radicale che è alla base dell’ Espresso si può pensare che la rivista vuole appoggiare la tesi dell’autonomia del partito di oggi su linee di indipendenza assoluta dall’URSS che non manda più dollari.

Potrebbe essere un appoggio alla linea Berlinguer (che è la continuazione di quella di Togliatti), che garantisce che la linea Secchia è morta e sepolta. Per questo sono restio a dare qualsiasi notizia sull’incidente finanziario subito dal Pci nel 1955. La denuncia precisa del furto più che dannosa al Pci risulterebbe fastidiosa al Pcus e all’Unione Sovietica…

*Il pettegolezzo in questione riguardava la vita privata di un alto dirigente del PCI. Crediamo opportuno non riportarlo: per i pettegolezzi ci sono altre sedi, anche troppe.