Romain Gary, “Formiche a Stalingrado”

Romain Gary, Formiche a Stalingrado, Mondadori Editore, Milano, 1946; ristampato come Educazione europea, Neri Pozza, Vicenza, 2006.

Il romanzo, scritto quando gli avvenimenti erano quasi ancora in corso, vinse il Prix de la critique nel 1946 e venne considerato il più bel libro sulla Resistenza. Ne è protagonista un adolescente, Janek, abitante di un borgo vicino a Vilnius, cui il padre – per salvarlo dai massacri tedeschi – scava un rifugio sotterraneo in un bosco vicino. Quando la famiglia sparisce nel gorgo della guerra, il ragazzo, ricordando il consiglio del padre, si aggrega a una banda partigiana che opera nella zona. In quel momento Vilnius fa parte della Polonia, ed è sotto occupazione tedesca. In Polonia appunto si trova il centro di comando dell’operazione Barbarossa, e da Vilnius passa almeno una parte dei rifornimenti destinati alle truppe tedesche che assediano Stalingrado: l’azione del partigianato è quindi fondamentale per aiutare i soldati russi che combattono una battaglia di importanza vitale per l’esito della guerra.

Vilnius era anche la patria dell’autore, Romain Kacew, nato nel 1914, la cui famiglia si era però trasferita presto in Francia cosicché il giovane Romain poté formarsi nell’atmosfera culturalmente effervescente della Parigi degli anni 20-30. La città nel secolo scorso è stata sotto dominio russo, poi polacco, poi tedesco, poi sovietico e infine – dopo il 1991 – è diventata la capitale della repubblica indipendente di Lituania.

Inserito nella banda partigiana, il giovanissimo Janek impara a conoscere il mondo attraverso la varia umanità dei suoi compagni e le relazioni che può intrattenere con l’esterno. Si scontra con la ferocia nazista quando, recatosi in città alla ricerca del loro comandante, lo ritrova impiccato per la strada, insieme alla fidanzata. O quando incontra un ragazzino ebreo sperduto, affamato e ridotto quasi a larva, che muore poco dopo, di stenti e di avvilimento. Scopre la viltà umana nella figura del ricco albergatore che rifornisce di viveri la banda partigiana e nello stesso tempo il comando tedesco. E vive lo strazio dell’anziano compagno malato, che si offre per autoimmolarsi in un attentato contro alcuni camion tedeschi carichi di nuovi esplosivi destinati a Stalingrado. Ma gli si svela anche il fascino della musica, attraverso una giovane pianista fidanzata del nuovo comandante, Dobranski, il quale è a sua volta uno scrittore e gli fa scoprire la letteratura. E scopre l’amore, con una dolcissima coetanea, Zosia, che in caso di necessità sa come strappare informazioni ai soldati tedeschi; con lei condivide il rifugio sotterraneo, riparato dal freddo e ricco di sacchi di patate, dove nascerà suo figlio.

Il resoconto della vita e delle azioni partigiane è tracciato senza retorica, in tono partecipato ma pacato; si intreccia poi con racconti esopici di cui sono protagonisti animali, come le formiche di Stalingrado, o anche cose, come i fiocchi di neve, trasfigurati in confetti, che festeggiano una pattuglia tedesca e la addormentano dolcemente nell’inverno russo. E su tutto incombe la battaglia di Stalingrado, che è lontana ma che permane all’orizzonte del racconto. “Il cuore dell’umanità, quest’inverno, batte nei dintorni di Stalingrado, come nel 1940 batteva nei quartieri di Londra. Ciò che di speranza umana rimane in ogni paese europeo, resiste tra le rovine della città operaia; in ogni casa assediata, in ogni cantina, in ogni buca di bomba è acquattata, e respira appena, la speranza d’uno schiavo europeo. Quest’inverno i dintorni di Stalingrado non sono solo Russia. Sono il mondo che soffre e lotta per liberarsi”. Questo gli spiega Dobranski, che sulla battaglia e sulle loro vicende sta scrivendo un libro; e se a lui non riuscisse, affida al giovane Janek il compito di terminarlo.

Dobranski morirà di stenti, mentre Janek uscirà vivo dalla guerra, come ufficiale inserito nel corpo franco-polacco di liberazione. Riuscirà a portare a termine il compito affidatogli da Dobranski: il libro “L’educazione europea”, quella che a lui era stata impartita nella resistenza contro gli occupanti nazisti. Ed è su questa educazione fondata su principi di pace, di rispetto e di collaborazione che si doveva basare la vita in Europa e dell’Europa. Una promessa quanto mai tradita, se si guarda al pullulare di fascismi che oggi risorgono non solo in Italia fra giovani cui quell’educazione non è stata trasmessa.